Ex Grifo, Nakata si racconta: “Ho giocato sempre e solo per passione. E l’esordio contro Del Piero…”

Il giapponese: "Non mi sono mai sentito davvero così bravo. Penso semplicemente di essermi trovato al posto giusto al momento giusto, niente di più"

Hidetoshi Nakata è stato uno dei talenti più brillanti del calcio tra gli anni Novanta e Duemila, ma la sua storia va ben oltre lo sport. Dopo aver incantato la Serie A con il Perugia, la Roma, il Parma, il Bologna e la Fiorentina, ha deciso di lasciare il calcio a soli 29 anni, intraprendendo un percorso completamente diverso, lontano dai riflettori e dal business del pallone. L’ex centrocampista giapponese ha concesso un’intervista a Rivista Undici durante la quale ha ripercorso le tappe della sua carriera calcistica e non solo.

L’arrivo in Italia, al Perugia.Sono arrivato in Italia a 21 anni, non avevo mai giocato all’estero, se non con la maglia della Nazionale giapponese. La Serie A, all’epoca, era il miglior campionato al mondo e attirava i calciatori più talentuosi a livello internazionale. L’esordio contro la Juventus di Zidane e Del Piero (prima giornata della stagione 1998/99, ndr) è ovviamente indimenticabile. Ricordo lo stadio gremito di turisti e giornalisti giapponesi, non ti nascondo di aver sentito una certa pressione…”.

Il secondo giapponese nella storia della Serie A. “Sì, Miura ha giocato qualche anno prima di me in Italia (con la maglia del Genova nella stagione 1994/95, ndr). All’epoca rappresentavamo un’eccezione: non c’erano, a differenza di quanto avviene adesso, giocatori asiatici nei principali campionati europei. A essere sincero, però, non ho mai dato particolare importanza e rilevanza al primato. Ho sempre pensato esclusivamente a fare del mio meglio per me e la mia squadra”. 

Molti pensavano che il tuo trasferimento fosse legato esclusivamente a questioni di marketing: in particolare, alla volontà della famiglia Gaucci di espandersi nel nascente mercato giapponese. Non avevo il controllo sul giudizio altrui; l’unica cosa che potessi fare era impegnarmi al massimo. Sta a te, poi, dare o meno importanza a certe voci. Oggettivamente, non potevo controllare le opinioni degli altri. Potevo, però, sfruttando le mie qualità, provare a fargli cambiare idea. Per me il risultato del campo era fondamentale, il resto contava poco. A dirla tutta, determinate etichette non mi hanno mai pesato”.

Il ricordo più bello.Anche oggi riesco ad avere rapporti umani e professionali unici, grazie al mio percorso in questo sport. Oggi sono qui, a parlare con te, proprio per dei traguardi raggiunti nel rettangolo di gioco. Senza calcio, probabilmente, non sarei riuscito a costruire quello che sono riuscito a costruire oggi. Non avrei avuto le stesse possibilità”.

Il ritiro a 29 anni.Ho iniziato a giocare quando non esisteva ancora la J-League (fondata nel 1992, ndr), il Giappone non aveva ancora esordito al Mondiale, non avevo nemmeno il sogno di diventare professionista. Giocavo esclusivamente per passione, senza secondi fini. Negli anni, però, il calcio è diventato un business sempre più grande. Sono entrate molte figure nuove nel mondo del professionismo. Tutto ciò mi ha tolto il piacere che mi aveva guidato nel corso della mia carriera”.

La nuova vita da imprenditore.Quando sono tornato in Giappone, ho iniziato ad interrogarmi sulle origini della nostra cultura. Ogni realtà del Paese è un microcosmo unico, ricco di tradizioni, usi e costumi. Ho deciso di viaggiare nelle 47 prefetture giapponesi immergendomi nella quotidianità delle persone, lavorando a stretto contatto con contadini e artigiani che producono di sakè. Dopo sette anni di viaggi, innamoratomi perdutamente di questa antica tradizione, ho deciso di iniziare a lavorare con loro, mantenendo sempre uno sguardo attento alle evoluzioni del mercato.  Grazie al mio passato nel mondo del calcio, credo di essere in una posizione unica per promuovere i prodotti giapponesi a livello globale. Voglio sottolineare che il cuore di ogni mio progetto imprenditoriale è la volontà di tutelare le tradizioni e valorizzare il lavoro di contadini e artigiani”.

Maradona disse: “Se tutti i giapponesi iniziassero a giocare come Nakata, dovremmo iniziare a preoccuparci”. “Non mi sono mai sentito davvero così bravo. Penso semplicemente di essermi trovato al posto giusto al momento giusto, niente di più. Ho avuto l’opportunità di giocare in squadre con grandi campioni. La mia fama è anche il frutto di queste fortunate coincidenze. Oggi però il movimento giapponese è in forte crescita. Credo ci sia il potenziale per raggiungere buoni risultati già al prossimo Mondiale”.

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