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Pagotto: “A Perugia per la positività mi misero in mezzo”

Il portiere dello storico spareggio col Toro si confessa e torna anche su vicende spiacevoli della sua carriera, come la squalifica per uso di cocaina: “Fui beccato due volte – dice – ma solo la seconda era vera”.

A 45 anni, Angelo Pagotto, ex portiere del Perugia e della nazionale under 21, torna a parlare ripercorrendo le tante vicissitudini che hanno accompagnato la sua carriera in una lunga intervista al sito di Gianluca Di Marzio. Ne riportiamo i passaggi più significativi.

I rigori? Cercavo di capire chi avevo davanti. Entravo in empatia e facevo i miei ragionamenti psicologici. Sui singoli rigori è più difficile, ma su una serie mi sentivo sempre più sicuro. E andava quasi sempre bene”. A Perugia ricordiamo quelli dello spareggio, ma tutta Italia si ricorda di Pagotto per il titolo europeo under 21: in quella nazionale era titolare davanti a un certo Buffon. “Ancora oggi faccio fatica a credere di aver vissuto quel momento”.

Mi chiamò il Milan. Avrei dovuto capire che era troppo presto per fare quel passo. L’anno prima avevo avuto la forza di rifiutare la chiamata di Moggi alla Juve, quell’estate invece ascoltai i consigli del mio procuratore. Fu un disastro. Feci panchina per mesi, poi Sacchi – subentrato al posto di Tabarez – mi diede una possibilità viste le incertezze di Rossi. All’inizio andò bene, poi tornai a sedere dopo una sconfitta contro il Parma. Poi contro la Sampdoria il destino mi punì: non ero pronto per quel contesto. Avevo bisogno di un clima familiare per rendere, come quelli di Pistoia e di Genova”.

Poi la rinascita a Perugia, lo spareggio, la promozione, la serie A: “Alla prima partita del campionato perdemmo 4-3 in casa con la Juventus. Pioveva a dirotto, sia io che Peruzzi commettemmo degli errori. Alla fine il presidente Gaucci disse che mi ero venduto la partita. Alessandro Moggi era il mio procuratore, nella sua testa avevo fatto un favore al padre. Mise in mezzo anche Tovalieri. Chiese a Castagner di escluderci. E il mister lo assecondò”.

Scherzi del destino: “A Perugia il Milan avrebbe vinto lo scudetto a Perugia con le parate di Abbiati. Al cui posto avrei dovuto essere io, se in estate non avessi chiesto al Milan di liberarmi. Strana la vita eh?”.

Dopo la positività alla cocaina pensai subito a un errore. Non avevo mai avuto lontanamente a che fare con certe sostanze. La magistratura aprì un’indagine. Fu appurato che il controllo era stato fatto senza le dovute norme di sicurezza. Un inquirente mi disse testualmente che aveva capito che era stato commesso un reato ma non c’era la pistola fumante. Fui licenziato dal Perugia per giusta causa. Persi un contratto importante e la reputazione. Io so la verità e questo mi basta. Quando ho sbagliato, l’ho ammesso. Ma quella volta ero innocente e lo ripeterò fino alla morte. Fui analizzato anche nelle settimane precedenti e in quelle successive. Solo quella volta i valori erano sballati”.

Per un anno e mezzo gira le spalle al calcio. Va a Miami, dimentica tutto, poi torna e si rimette i guanti. La squalifica termina, la Triestina in serie C gli riapre le porte. “Vincemmo il campionato e la stagione successiva chiudemmo primi il girone di andata. Poi iniziammo a perdere e il presidente Berti, tanto per cambiare, dette la colpa a me. Disse che mi vendevo le partite. Avrebbe dovuto guardare più attentamente cosa succedeva in quella squadra, chi tirava indietro e chi dava l’anima. Io lo denunciai. Avevo già un’etichetta che non meritavo, un’altra non potevo sopportarla. Rescissi il contratto, rinunciando ai soldi ma non alla dignità”.

La sua vita calcistica riparte dalla Toscana: Arezzo e Grosseto tappe intermedie prima di arrivare a Crotone. Cinque partite, una vittoria contro il Napoli e un sorteggio all’antidoping dopo una sconfitta contro lo Spezia. “Mentre riempivo quella provetta non pensavo alla cazzata che avevo fatto. Avevo sniffato più di dieci giorni prima, non valutando le conseguenze di quella follia. Ho tradito me stesso e chi credeva in me: mia mamma mi ha creduto sempre. Poi dopo quel maledetto errore del 2007 è stato tutto più difficile anche con lei”.

Pagotto ora fa il magazziniere a Prato, in una industria nel settore tessile: “Questa è la mia vita oggi. Sette ore al giorno. Non mi spaventa, ringrazio mia sorella che mi ha trovato quest’impiego. Da quando ho dovuto smettere col calcio, mi sono rimboccato le maniche. Ho fatto il cuoco, il pizzaiolo, sono andato in Germania. Ho lavorato di giorno e di notte, lavando piatti e riprendendo in mano la mia vita. Sono ancora in piedi”.

Ma c’è ancora spazio per il calcio: “Mi ha chiamato la Lucchese. Da questa settimana inizio a collaborare con loro. Farò il preparatore dei portieri. So benissimo che stanno fallendo e non c’è un centesimo, ma per me è una gioia impagabile. Torno ad assaporare il campo, toglierò ore al mio lavoro, ma è un investimento su me stesso. Vorrei che il calcio tornasse a essere la mia professione. Ne ho bisogno, è sempre stata la mia vita”.

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