Alessandro, figlio di Big Luciano, a GianlucaDiMarzio.Com: “Sono utili se non diventano eccessivi. Oggi cambiano i mezzi e le distrazioni, ma le dinamiche sono le stesse”
Ormai è consuetudine quando una squadra va male, dalla A a scendere, iniziare a parlare di ipotesi di ritiro. Il Perugia dei Gaucci ha fatto scuola diventando per le squadre degli anni successivi un costante termine di paragone. Alessandro, figlio di Big Luciano, ha raccontato gli aneddoti intervistato da GianlucaDiMarzio.com: “I ritiri sono di diverso livello. Mio padre pensava che più i suoi giocatori sarebbero rimasti lontani dalle distrazioni e più avrebbero vinto. Così il ritiro è diventato quasi un must: lo facevamo e la domenica dopo vincevamo”. Un anno Norcia divenne a tutti gli effetti la nuova casa dei calciatori biancorossi: “Eravamo diventati cittadini onorari, ci conoscevano tutti. Ci andammo 15 volte quando nel 1992/1993 allenava Novellino in C1″. E non sempre erano posti tranquilli: “Dopo una sconfitta nell’anno in Galeone in A mio padre mandò la squadra in ritiro in in un albergo di camionisti. Forse era più che punitivo, a ripensarci fa ridere”.
Gaucci spiega l’utilità dei ritiri con pro e contro: “Quando le cose non vanno bene prendersi una settimana in cui ritrovarsi è sempre cosa buona. Deve essere saltuaria però, non può diventare eccessiva perché ogni giocatore ha una sua vita privata. Gaucci permetteva a tutti i ragazzi di godersi la ‘bella vita’. Potevano però rischiare l’incolumità fisica o arrivare stanchi agli allenamenti. Mio padre voleva evitarlo, con l’avvento dei social è più difficile trasgredire”.
E sulla differenza tra i ritiri di oggi e quelli di una volta: “Tutto può essere una distrazione in un albergo che dà tutti i servizi possibili. All’epoca le distrazioni erano le partite a carte, i giochi di società o le scommesse con il caffè pagato. Ora i cellulari e i videogiochi. Cambiano i mezzi ma non la dinamica”.