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Addio a Castagner, il mite Uomo dei Miracoli diventa leggenda

Ha guidato Lazio, Milan e Inter ma a Perugia ha compiuto imprese straordinarie diventando un simbolo eterno: il ritratto sportivo e umano del tecnico più rilevante della storia biancorossa

Renato, il Tigre e il Capitano lo hanno accolto lassù, serbandogli un posto sulla panchina della Nazionale del Cielo che lui stesso, con mirabile profondità, aveva evocato per commemorare Curi scomparso nell’ormai lontano 1977.

Se ne è andato ad 82 anni durante il derby, vinto dal Perugia sulla Ternana sulle ali dell’emozione dopo la notizia arrivata all’intervallo, ultimo lascito tra tanti Miracoli. Con l’addio ad Ilario Castagner il calcio italiano perde uno dei suoi personaggi più straordinari ma è soprattutto Perugia, la città da cui aveva deciso di farsi adottare, a restare orfana della sua icona più fulgida, simbolo eterno. Come d’un tratto fosse venuta giù la Fontana Maggiore. Mazzetti che lo portò a Perugia da giocatore, Galeone, il perugino Cosmi sono stati amati, idolatrati, hanno innovato, vinto, entusiasmato e finito per dividere. Ilario no, Ilario ha sempre unito tutti, senza discussioni, nel bene e nel male. Quando c’è stato da prendere posizione, Perugia si è sempre schierata al suo fianco senza esitazione, compatta e riconoscente, come quando Gaucci lo esonerò nel ’98 dopo la sconfitta con la Lazio.

Perché Ilario da Vittorio Veneto era Il Calcio a Perugia. Il più importante nella storia e nessuno può aversene a male ripensando alla sua signorilità, all’aplomb e alla giusta misura che poneva a fronte di qualsiasi negatività, alla sua capacità di unire tutti, giocatori, tifosi, ascoltatori, dirigenti, giornalisti (aveva anche il patentino, era un collega e ne avvertiva i doveri). A Perugia era stato calciatore nei Sessanta (ottimo centravanti, con un titolo di capocannoniere in C e qualche buon gol in B), nel Perugia lo riportò un giornalista de Il Messaggero, Lanfranco Ponziani, che nel ’74 riuscì a convincere Franco D’Attoma delle qualità di un 28enne che allenava nelle giovanili dell’Atalanta e si era inventato libero Scirea, per formare un connubio indistruttibile con il generale manager Silvano Ramaccioni da Castello. Proponeva un gioco corto e innovativo, all’olandese, grazie al quale il Perugia per la prima volta nella storia si ritrovò in Serie A.

E’ storia nota, anzi è leggenda: guidato da Ilario, quel Perugia con pochi investimenti mirati, un ambiente ideale, un gruppo straordinario e tante idee sarebbe rimasto nel massimo campionato una decina d’anni, facendo tremare gli squadroni, giocando in Europa, sfiorando lo Scudetto nel ’78 e conquistando un intramontabile record dell’imbattibilità. Prima di loro Curi, Novellino, Cacciatori, Amenta, Sollier, Marconcini, Grassi. Poi Malizia, Nappi, Ceccarini, Frosio, Pin, Dal Fiume, Bagni, Butti, Casarsa, Vannini, Speggiorin. Un mantra, una ricetta semplice eppure funzionale: niente fuoriclasse e un gruppo affiatato anche fuori dal campo, una squadra vera di uomini veri forgiata da un tecnico pieno di idee nuove e funzionali.

Il Seminatore d’Oro del calcio biancorosso fu in seguito chiamato a guidare Lazio, Milan (riportato in A prima dei dissidi con Farina), Inter (terzo posto e semifinale Uefa), Ascoli (Mitropa Cup e salvezza miracolosa), Pescara e Pisa prima del richiamo di casa. Perugia navigava in C, aveva una proprietà forte e bisogno di vincere. Fu nuovamente storia: la chiamata di Gaucci, lo spareggio di Foggia, la vittoria revocata, il campionato trionfale e il ritorno in B nel torneo successivo. Per il vostro cronista la prima, grande opportunità di conoscerlo, vederlo all’opera da vicino, scoprirne gli straordinari valori umani, raccontarne le gesta, la serena disponibilità, l’ospitalità, l’educazione e la gentilezza, la capacità di dare dignità e rilevanza a chiunque gli rivolgesse parola, tipica dei grandi. Non credo di averlo mai sentito alzare la voce, nemmeno in panchina l’ho mai visto andare oltre il segno.

La terza ripresa tre anni dopo, con il Perugia impegnato in una difficilissima rincorsa al Torino per andare in A: Gaucci lo chiamò a undici giornate dalla fine, gli propose una tabella (quasi tutte vittorie) e lui fu capace di rimettere insieme i pezzi e ripetere il Miracolo, fino allo spareggio di Reggio Emilia e un’altra incredibile promozione in serie A. L’anno successivo la burrascosa separazione da Gaucci e la fine della sua esperienza in panchina, non prima di avere regalato altre perle come l’esplosione di Nakata.

Dopo avere allenato Rummenigge, Serena e Paolo Rossi ma tenendo nel cuore la squadra degli Imbattibili, gli ultimi vent’anni Ilario li ha vissuti come voleva, seguendo il suo valore più alto e più forte, quello della famiglia. Nella sua Perugia, sulla collina di Lacugnano con la moglie Liliana che qui aveva conosciuto, vedendo crescere intorno a sé figli e nipotini, scrivendo la sua biografia (‘Buongiorno, mister’), facendo il commentatore tv di rara competenza e gradevolezza, naturalmente senza mai smettere di seguire il Grifo. Ciao mite Ilario, grazie per tutto quello che ci hai dato: uomo d’altri tempi, educato e gentile, venisti in terra a Miracol mostrare e ora, lo sento, ce li manderai dal Cielo.

 

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