Il difensore toscano, oggi perno dell’Atalanta di Gasperini, si è raccontato alla rivista “Undici” svelando come, con la maglia del Grifo, sia arrivato il momento in cui è diventato davvero un professionista.
Gianluca Mancini è ormai uno dei difensori più importanti del panorama italiano e pezzo pregiatissimo del prossimo mercato. Con l’Atalanta sta diventando grandissimo, con la maglia del Perugia è diventato uomo. Lo ha svelato in un’intervista a rivistaundici.com. La svolta della carriera del centrale della Nazionale “capitò nel secondo anno a Perugia”, ha detto Mancini aggiungendo i dettagli e i passaggi difficili e formativi di quel campionato di Serie B.
“Inizio la stagione da titolare – ha raccontato l’ex difensore del Grifo -, poi mi feci male e rimasi fuori due mesi e mezzo. Appena rientrato, mi infortunai di nuovo. Tornai in campo a metà gennaio, giocai le prime due di ritorno, poi saltò il ginocchio: altri tre mesi e mezzo fermo. La presi come un’annata maledetta, così quando il mister Bucchi, ora a Benevento, mi chiamò, gli dissi che non avrei più voluto giocare fino alla stagione successiva, anche perché nel frattempo l’Atalanta mi aveva acquistato e temevo di perdere il treno”.
Allora fu decisivo il ruolo di motivatore di Bucchi. “Ma il mister mi caricò – ha precisato Mancini –, mi sentii importante, ricordo che mi fece anche piangere. Cambiai idea, lavorai per tornare in campo il prima possibile. Scattò qualcosa a livello mentale, iniziai a vedere il calcio in maniera diversa. In quel momento sono diventato professionista al 100 per cento”.
Così si è presentato già maturo nel complesso panorama della Serie A. Perché si può rimanere al vertice solo “imparando velocemente quanto chiede l’allenatore, altrimenti si diventa inutili. E assorbendo segreti dai compagni più esperti, come Papu Gómez, Ilicic, Masiello o Toloi”.